Ucraina: vince Janukovic, cambiano gli equilibri ad Est

Le urne dicono Janukovic, ma il premier Timoshenko non si dà per vinta e annuncia di aver preparato una squadra di avvocati per contestare l’esito delle urne.

Dunque, come si supponeva, non c’è pace nella martoriata vita politica ucraina. Quando ormai sono state scrutinate oltre il 40% delle schede, il candidato filorusso Viktor Janukovic è saldamente in testa con oltre il 50% delle preferenze, contro il 44.3 della sua rivale: ufficialmente la Commissione Elettorale proclamerà il vincitore il prossimo 17 febbraio, ma Janukovic sembra ormai in possesso di un margine sicuro per aggiudicarsi la vittoria.

Il fattore tempo però potrebbe giocare a favore del premier Timoshenko, che non solo non ha ammesso la sconfitta, ma ha denunciato brogli in numerosi seggi e ha dato disposizioni perchè i legali del suo partito attuino azioni legali in grado di annullare le elezioni.

Dunque, i prossimi giorni saranno decisivi per capire cosa accadrà a Kiev, anche se stavolta, a differenza delle scorse elezioni presidenziali, sembra che le operazioni di voto si siano svolte nel rispetto delle regole, stando almeno a quanto annunciato dagli osservatori internazionali.

FINE DELLA RIVOLUZIONE? La Timoshenko, dunque, non avrebbe stavolta un qualcosa su cui far leva: la ormai probabile vittoria di Janukovic è un segno evidente del definitivo tramonto della Rivoluzione Arancione di cui la stessa Timoshenko fu protagonista nel 2004: corruzione, divisioni politiche, crisi istituzionali non hanno portato alla realizzazione delle promesse fatte durante la rivolta di fine 2004, tanto che il Paese sembra aver sonoramente voltato le spalle a quelli che cinque anni fa incoronò come i suoi eroi.

La vittoria di Janukovic, dunque, cambia non poco gli equilibri politici nell’Europa dell’Est. Innazitutto Kiev si allontana dalla NATO, e probabilmente si riavvicinerà a Mosca, anche se il neopresidente ha sempre dichiarato che l’Ucraina si manterrà equidistante tra Russia e USA.

Resta comuque evidente che un’Ucraina fuori della NATO, anche se non legata alla Russia, è una vittoria per Mosca: la possibilità che Kiev diventasse membro dell’Alleanza Atlantica è stato uno dei temi che ha fatto scendere il gelo tra le diplomazie russa e americana negli ultimi anni.

ORFANI DI BUSH. L’assenza dell’ingerenza statunitense in queste ultime elezioni è un ulteriore aspetto che va tenuto in considerazione per valutare i possibili scenari nell’area ex sovietica: nel 2004 non era stato un mistero che l’amministrazione Bush sostenesse apertamente la Rivoluzione Arancione, in primis per bloccare sul nascere il tentativo russo di ripristinare una propria sfera di influenza nei Paesi dell’ex impero sovietico, in secundis per avere un alleato strategico in un contesto geopolitico della massima importanza.

Il niet dell’Ucraina all’Occidente e alla NATO si appresta a diventare un inquietante precedente anche per l’altro “figlioccio”, ormai orfano, di George W. Bush: il presidente georgiano Michail Saakhašvili.
Come era stato per Jušchenko, anche Saakhašvili si era accreditato presso la Casa Bianca e l’Ue come colui che avrebbe definitivamente reciso i legami con la Russia, e portato in Europa e nella NATO la Georgia, nazione dall’ottima posizione geopolitica, collocata in un’area strategica per lo sfruttamento degli idrocarburi nonchè ottima base per le campagne militari in Medioriente.

Ma l’avventurismo politico, emerso inconfutabilmente nella guerra scatenata e persa nel 2008 contro la Russia in Ossezia del Sud, ha ridimensionato molto l’immagine di politico affidabile che  Saakhašvili si era costruito presso le cancellerie occidentali. Inoltre, Obama sembra non essere interessato alla Georgia, oppure non ritiene che valga la pena rischiare le relazioni diplomatiche con Mosca per uno come Saakhašvili, che adesso, complice anche il calo di consensi in patria, rischia seriamente di  vedere la sua Rivoluzione delle Rose seguire la stessa parabola discendente della Rivoluzione Arancione.

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