La Bielorussia affonda nell’abisso economico

Aleksandr Lukashenko

L’improvvisa manovra di svalutazione del rublo bielorusso, attuata lunedì scorso dal governo ufficialmente per rilanciare un’economia stagnante ma in realtà scoraggiare il sempre più diffuso acquisto di valuta straniera da parte della popolazione, sta mettendo in ginocchio la Bielorussia e ora il presidente Aleksandr Lukashenko teme seriamente che il malessere nella società possa aumentare in maniera incontrollabile, tanto da mettere a rischio la sopravvivenza stessa del regime.  Da quando per un dollaro occorrono 5.000 rubli (6.900 per un euro), il paese è piombato nel panico: la gente si è resa conto di trovarsi in tasca poco più che carta straccia e ha cominciato ad assaltare negozi e supermercati facendo incetta di qualsiasi bene di consumo barattabile, dai televisori ai frigoriferi, dall’elettronica ai farmaci.

Il risultato è che da una settimana i prezzi nel paese stanno crescendo in maniera inarrestabile, e con loro anche il malcontento della popolazione. Lukashenko se n’è accorto, e come è tipico di molti politici (anche occidentali) che fondano il proprio potere sul consenso delle masse, ha attribuito al governo le colpe di quanto sta accadendo, minacciando di destituire sia il premier Mjasnilovic che il governatore della Banca Centrale Prakapovic se non riusciranno a stabilizzare l’economia del paese.
Poi se l’è presa immancabilmente con le testate giornalistiche estere, accusandole di diffondere deliberatamente il panico tra i cittadini bielorussi: un riferimento (neanche tanto velato) ad alcuni media russi, che avevano nei giorni scorsi fatto parallelismi tra di lui ed il presidente georgiano Saakhasvili, alle prese anch’egli con una piazza arrabbiata per la crisi economica che attanaglia il paese caucasico.

L’attacco contro i giornalisti russi non è piaciuto però al Cremlino, che ha minacciato ieri di rivedere il piano di aiuti da tre miliardi di dollari promesso a Minsk, se Lukashenko metterà in atto azioni censorie contro i reporter russi. Tuttavia è improbabile che Mosca darà seguito a questa minaccia: in cambio del suo sostegno finanziario, la Russia cercherà di mettere le mani sui “gioielli di famiglia” bielorussi dei settori chimico ed energetico, che, nonostante le smentite di Lukashenko, potrebbero essere privatizzati e  venduti all’estero. E non si tratta di nomi da poco, visto che parliamo dell’azienda di Stato del gas (Beltransgaz), dell’industria nazionale per i veicoli industriali (BelAZ) e del gigante pubblico dell’acciaio (BMZ).

La gravità della crisi bielorussa è testimoniata anche dal cambiamento di strategia della BERS nei confronti di Minsk. La Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo si è detta non più disponibile a finanziare progetti in ambiti economici dove c’è una predominanza del settore pubblico, come ad esempio quello della produzione energetica, delle infrastrutture per i trasporti e delle energie rinnovabili.
D’ora in avanti, si legge in una nota della BERS, gli interventi saranno rivolti solo a progetti che puntano allo sviluppo del settore privato, a innalzare gli standard ambientali e a migliorare la qualità della vita della popolazione bielorussa. Nessuna forma di supporto, nè tecnico nè finanziario, – conclude la nota – verrà erogata alle autorità di Minsk, almeno fin quando il paese non s’incamminerà su di un percorso di riforme democratiche. Lukashenko è avvisato.