Duterte: le Filippine in un’alleanza militare con Russia e Cina

Vladimir Putin con Rodrigo Duterte (credits: Kremlin.ru)Dopo Donald Trump e le sue informazioni “classificate” riferite al ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov, ora è la volta del presidente filippino Rodrigo Duterte, già noto per la difficoltà a tenere a freno la lingua durante conferenze stampa (spesso veri e propri show all’insegna del politicamente scorretto), a far parlare di sè per alcune dichiarazioni che hanno fatto balzare sulla sedia Vladimir Putin e Xi Jinping. A Mosca, dove ha incontrato il presidente russo, Duterte ha offerto l’amicizia delle Filippine chiedendo in cambio il sostegno del Cremlino nella lotta contro le milizie islamiste locali di Abu Sayyaf, da realizzarsi attraverso la vendita di armamenti russi. La notizia confermerebbe le voci circolate nei mesi scorsi che parlavano dell’interesse di Manila a una linea di credito russa finalizzata all’acquisto di aerei Mig: uno strappo non da poco, visto che le Filippine sono storiche alleate degli Stati Uniti in Asia e che sull’atollo di Diego Garcia ospitano una delle più importanti basi navali americane del sud-est asiatico. Continua a leggere

Il furbo Navalnyj e la miopia dei media mainstream

Come c’era da attendersi, oggi sui media occidentali trova ampio risalto la notizia dell’arresto del blogger russo Aleksej Navalnyj, corredata ovviamente da commenti sdegnati di tante anime belle che – come capita spesso quando si parla di Russia – fissano il dito quando gli si indica la luna. Una regola base di un buon giornalismo consiste nel dare la notizia in modo completo, affinchè il lettore/telespettatore possa farsi un’idea tutta sua: con il caso Navalnyj, naturalmente, ciò non è avvenuto. Il titolo sparato per tutta la giornata di ieri da TV e siti web è stato che il blogger russo, oppositore di Vladimir Putin e “attivista per i diritti umani” (locuzione così inflazionata ultimamente da aver svilito i nobili intenti di tante battaglie) è finito in manette assieme ad altre centinaia di suoi seguaci per aver indetto una manifestazione contro la corruzione dilagante in Russia per opera del premier Dmitri Medvedev. Ora, la notizia di un oppositore che finisce in carcere per aver protestato contro la corruzione di un governo genera senza dubbio sdegno in chiunque, incluso in chi scrive. Solo che quella notizia è stata mutilata di alcuni particolari, che forse avrebbero potuto darle un connotato leggermente differente. Continua a leggere

Trump alla guida degli Stati Uniti, di cui tanti parlano senza conoscerli

L’autoflagellazione collettiva iniziata la mattina del 9 novembre scorso giunge oggi al suo apice: Donald Trump giura da Presidente degli Stati Uniti e assume dunque a pieno il suo incarico istituzionale. In questi circa settanta giorni ne abbiamo sentite di tutti i colori, ma nelle ultime ore frasi come «La democrazia negli Usa è finita» o locuzioni tipo «golpe di Putin» sono iper-gettonate. Ma chi evoca scenari apocalittici su diritti negati, repressione, media imbavagliati riduce gli Stati Uniti alla stregua di una Repubblica delle Banane e dimostra, molto semplicemente, di non sapere di cosa sta parlando o scrivendo: Donald Trump non potrà mai diventare un caudillo sudamericano, come paventato da molti, semplicemente perchè se viola la Costituzione una procedura d’impeachment lo manda diritto diritto in galera. E’ il collaudato sistema dei cosiddetti pesi e contrappesi ad impedire al Presidente (Potere esecutivo) di assumere una posizione di preminenza sul Congresso (Potere legislativo) e sulla Corte Suprema (Potere giudiziario). Una sorta di anticorpo costituzionale che ha funzionato dal 1776 a oggi e continuerà a farlo, tanto che tra quattro anni probabilmente saremo qui a parlare dell’elezione di un nuovo Presidente, magari Democratico .

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L’ombra di Al Nusra dietro l’omicidio dell’ambasciatore russo in Turchia

Il poliziotto-killer (Foto Twitter/Trabzonajans)Mevlut Mert Altintas, il poliziotto ventidueenne che ieri ad Ankara sera ha assassinato l’ambasciatore russo Andrej Karlov, sarebbe un militante di Al Nusra, il braccio siriano di Al Qaeda sostenuto per anni dall’Arabia Saudita e dalla stessa Turchia nella sua guerra contro Bashar al-Assad. Lo riferisce l’agenzia di stampa israeliana Debka, ritenuta molto vicina ai servizi di sicurezza di Gerusalemme: la chiave di volta è in una frase urlata dall’uomo subito dopo la sparatoria («Abbiamo giurato di morire da martiri, è la vendetta per la Siria e per Aleppo!»), che proverrebbe da una preghiera araba usata dai militanti di Al Nusra come inno di battaglia. Altinas faceva parte delle unità antisommossa della polizia turca, e ciò va a toccare il nervo scoperto degli ambigui rapporti avuti fino a ieri tra il governo turco e le forze islamiste protagoniste della lunga stagione di sangue in Siria: ora la domanda è se le forze speciali turche sono state infiltrate da Al Nusra, oppure se è la stessa organizzazione jihadista siriana ad aver disposto per anni di milizie paramilitari gentilmente fornite da Recep Tayyip Erdogan per abbattere l’odiato Assad. Continua a leggere